Ciao Rita, approfittiamo della tua gentilezza e disponibilità per rivolgerti alcune domande in maniera da farti conoscere meglio ai frequentatori del nostro Blog.
Ciao a tutti! E’ un piacere essere qui!
Per rompere il ghiaccio iniziamo con una domanda semplice. Nella tua biografia hai simpaticamente scritto che hai iniziato disegnare quando eri ancora nel seggiolone; restando al gioco e sapendo che, notoriamente, i bambini disegnano su qualunque superficie capiti loro a tiro: hai qualche aneddoto particolare da raccontarci sulle tue origini artistiche?
Ah, quanti ne volete! Comunque dovrebbe esistere una foto che documenta realmente questo fatto: io a due anni che scarabocchio tutto il piano del seggiolone (carta? a che serve?!). Si potrebbe dire che la passione per disegnare me l’abbia passata proprio mia madre, che per farmi imparare le parole mi disegnava degli adorabili gattini stilizzati su un quaderno. E dovreste vedere che carini che erano! Fatti con un unico tratto tutto arricciato! Forse mia madre avrebbe potuto essere una grandissima illustratrice, con il suo immaginario grafico essenziale, invece è diventata professoressa di matematica, e ha passato tutta la mia adolescenza a darmi ripetizioni. I gattini e le gallinelle li avevo imparati bene, i numeri non tanto…
Il dare forma alle immagini è un tuo talento naturale. Puoi descriverci come avviene la tua fase creativa? L’immagine da disegnare si forma prima nella tua mente in maniera completa o lasci che sia la mano a seguire l’istinto e l’ispirazione del momento?
Naturalmente, quando sono in un ambito lavorativo seguo delle direttive, e in quei casi il mio compito sta solo nel visualizzare le richieste del mio art director/committente, ma se devo fare da me in effetti non c’è un metodo fisso. Non sempre ho esattamente in mente ciò che disegnerò, ma quando arriva il momento di disegnare, semplicemente… lo sento! Può capitare che butti giù uno schizzo veloce sul mio libriccino (si, sono una di quelle che si porta sempre dietro i quaderni da riempire di sfoghi creativi) e che sia soddisfatta così, ma a volte, quando l’immagine è più chiara nella mia mente e sento che potrebbe essere davvero accattivante, comincio ad attrezzarmi per finalizzarla. Fino a poco tempo fa lavoravo tassativamente su carta dall’inizio alla fine di una illustrazione, poi mi sono avvicinata alle arti digitali sia per lavoro sia grazie all’ispirazione di grandissimi maestri che ho avuto negli ultimi anni, tra i quali cito con gioia Antonio De Luca e Jim Moore, e ho scoperto che partire a lavorare direttamente dallo schizzo digitale non solo non è affatto un disonore ma permette di sbloccarmi, di liberarmi di paure che con la carta mi limitavano terribilmente. Alla fine comunque spesso e volentieri uso una tecnica mista, magari sistemando e colorando al computer uno schizzo del mio libriccino!
Parlando da genitore penso che sia un’assoluta priorità spronare i figli affinché compiano un percorso che gli consenta di realizzare il loro potenziale, al contempo, però, c’è anche la tendenza ad “orientare” le scelte dei figli in base all’esperienza che il genitore stesso ha maturato. Dopo la fine del liceo ti sei iscritta alla Scuola Internazionale di Comics: eri assolutamente sicura della scelta fatta? Hai incontrato resistenza da parte dei tuoi famigliari o ti hanno appoggiato fin da subito?
Tra l’altro ricordiamo che ero al Liceo Scientifico, e la risposta è sì, ero ASSOLUTAMENTE certa di quella scelta! Direi che ne ho sentito addirittura il bisogno, a un certo punto della mia vita.
Sono cresciuta in un piccolo paese di provincia e la scuola superiore più vicina, a meno di non svegliarmi alle cinque del mattino, era lo scientifico, per cui ho avuto poca scelta (anche se devo dire di non essere pentita, ho trovato buoni amici e lo scientifico mi ha permesso di acquisire una mentalità molto più pratica e concreta di quanto avrebbe fatto penso un istituto d’arte). Comunque, a un certo punto, in quinta superiore, ho deciso con massima determinazione che avrei studiato per fare un mestiere di ciò che avevo sempre amato fare di più, disegnare. E ho potuto realizzarlo in effetti solo grazie al sostegno dei miei genitori, che hanno capito quanto fosse importante per me. Mi hanno sostenuto economicamente e moralmente, anche a costo di sacrifici; se c’era un corso o un qualunque evento legato al fumetto loro me lo segnalavano e mi accompagnavano sempre. Tuttavia I miei hanno anche una mentalità abbastanza pragmatica, per cui se da una parte mi incoraggiavano, dall’altra mi ricordavano che se non mi fossi impegnata in quella strada l’alternativa era la fabbrica di scarpe sotto casa. Per cui ho anche trovato giusto ringraziarli iscrivendomi anche all’accademia di Belle Arti, almeno per ottenere una Laurea (e sperare che almeno con quella qualcosa di più della fabbrica forse potevo ottenere).
Credo che la mia proverbiale doppia vita sia cominciata in quel periodo: di giorno studiavo storia dell’arte e di notte facevo le tavole per la Comics; certo, mi è costato qualche 18, ma magari si può imparare tantissima storia dell’arte anche viaggiando e visitando musei.
Sei sposata con Davide Cencini, di professione scrittore, sceneggiatore e colorista; quindi l’arte è di casa nella vostra famiglia! So che sei stata fondamentale nella genesi di DARKWING, la serie di racconti fantasy scritta da Davide. Raccontaci in che modo e come ha preso forma quest’universo.
Anche Davide racconta sempre con tanta tenerezza, di come è stato un mio disegno sul diario a ispirare tutta la genesi di Darkwing.
Noi ci siamo incontrati nell’estate del 2001 ad Acquaviva nei Fumetti, un festival vicino San Benedetto del Tronto, e restammo in contatto perché entrambi fan sfegatati del mitico fumetto PKNA, della Disney, lui scrittore di fanfiction e gestore del sito Pkers, io fan artist aspirante fumettista.
Ci mettemmo insieme, e tra una fanart e l’altra, visto che in quel periodo nasceva anche il fenomeno Signore degli Anelli, disegnai un Paperinik con spada e scudo, come un cavaliere fantasy. Da lì Davide ebbe l’idea di una fan fiction intitolata PK Fantasy. Il periodo di Pkers passò, ma sia lui che io ci eravamo talmente affezionati a quella trama che pensammo di slegarlo dalla serie Disney e riadattarlo come un prodotto originale. Questa genesi è stata lunghissima ed ha attraversato innumerevoli fasi intermedie; è approdata nella versione finale di Darkwing nel 2010 con l’autoproduzione e solo due anni più tardi è stato rilevato dall’editore Ute Libri. Più di dieci anni per passare da una piccola fanart in un diario a una saga fantasy con un backround solido alle spalle.
La tua occupazione principale è quella di Character Designer per la RAINBOW, famosa per essere la casa di produzione di WINX CLUB e di altre fortunate serie (Pixie, Huntik, ecc..). In cosa consiste esattamente il tuo lavoro? Puoi parlarci delle varie fasi creative di un prodotto di animazione di tale livello?
Dunque, io sono character designer, concept artist e lead artist per Winx, questo significa che mi occupo dei personaggi, sia mettendo “in stile” quelli già esistenti che definendo il design di quelli nuovi, il che significa anche che se una Winx ha un fiocco fuori posto la colpa di solito è mia… però, prima di parlarvi delle fasi di realizzazione vorrei spiegare una cosa importante, perché in molti cadono nell’equivoco: noi non realizziamo l’animazione intesa come l’intercalazione dei singoli disegni, quella è la fase finale che viene affidata a studi esterni. Noi realizziamo tutta quella fase che è chiamata pre-produzione (in realtà anche molto della post-produzione) del cartone animato: è risaputo che si parta dalla sceneggiatura, e da essa vengono estrapolati una serie di disegni preliminari non necessariamente ripuliti e completi, ma comunque comprensibili, di tutto ciò che contiene la sceneggiatura, vale a dire personaggi nuovi, props, sfondi di riferimento; questo pacchetto parziale viene passato agli storyboardisti, che sono prevalentemente esterni, e quando loro ci riconsegnano lo storyboard finito, il pacchetto di disegni abbozzati di prima passa alla fase di “Model pack”, in cui tutti i disegni iniziati vanno ripuliti e finalizzati in un model sheet, un file con tutte le pose, le attitudini e le espressioni dei personaggi, dei props e le inquadrature extra degli sfondi.
La sopravvivenza di un prodotto di intrattenimento dipende dal gradimento del pubblico e l’anno scorso avete festeggiato il decennale dalla nascita delle WINX. Per te che ci lavori, quali sono i motivi del loro enorme successo?
Sicuramente, l’aver centrato il target migliore, quello delle bambine delle scuole primarie. Una bimba che comincia ad andare a scuola, che inizia ad avere il primo gruppo di amichette e che sogna di avere poteri magici (io da piccola lo sognavo eccome) si immedesima tantissimo in uno show come Winx. Inoltre così come anche Harry Potter, tutti i ragazzi sognano che, visto che a scuola ci si deve andare, almeno che sia una scuola unica, come una scuola di maghi o di fate. Più c’è il design unico di Winx che si fa sempre riconoscere dal pubblico, a dispetto dell’evoluzione stilistica che è avvenuta nel corso degli anni. La loro fortuna è che pur rinnovandosi, riescono a rimanere sempre fedeli a se stesse.
Tra le tue variegate esperienze professionali c’è anche quella di illustratrice di libri scolastici. Tra character designer, illustratrice e disegnatrice: quale ruolo senti tagliato su misura per te? C’è qualche altra esperienza che vorresti provare?
Ormai è parecchio tempo che mi sono messa nell’ottica della lavoratrice, non “dell’artista” che disegna per proprio divertimento. L’arte è bella, ma non ti fa mangiare da sola, tranne in alcuni di casi eccezionali (che si contano sulle dita di una mano, tra l’altro), per cui imparare ad adattarsi in questo campo è inevitabile, ma anche in questo lavoro dalle mille facce si può trovare realizzazione! Molti dicono che sarebbe meglio specializzarsi in un settore specifico. Probabilmente è vero, per lo meno per qualcuno, ma io a quanto pare sono troppo irrequieta per farlo. Non c’è uno dei miei attuali “mestieri” che non mi piaccia fare, ognuno può dare delle soddisfazioni che un altro settore non potrebbe: nel character design c’è l’euforia di creare qualcosa di unico, nella scolastica sai che ciò che disegni accompagnerà un bambino nella crescita, nell’illustrazione stai raccontando attraverso le immagini qualcosa che è solo tuo. La verità è che non so dire quale ruolo mi sia più adatto, perché sono affetta da frenesia compulsiva di provare a fare tutto ciò che posso imparare; a volte questo mi crea problemi (di sonno, soprattutto) ma semplicemente non riesco a frenarmi. Adesso sto anche riprendendo in mano pastelli e cartoncino, perché spero di dar vita presto a un nuovo progetto con base manuale: l’estate scorsa ho seguito un meraviglioso corso di Marco Somà per realizzare albi illustrati per bambini. Speriamo di tirare fuori qualcosa entro l’anno prossimo!
Grazie mille per l’intervista, ciao a tutti!
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